Il 21 novembre 1941 a Montevideo ha luogo la solenne apertura del processo ordinario informativo sugli scritti e la fama di santità di Madre Francesca Rubatto e nel 1943 il Card. Pietro Boetto, arcivescovo di Genova, autorizza l’inizio del processo diocesano sugli scritti e sopra le virtù della Fondatrice che si apre il 18 marzo 1944.
Nel novembre 1944 si svolge il processo rogatoriale di Albenga.
Il 16 maggio 1945, a Montevideo, avviene il secondo processo ordinario.
Il 27 gennaio 1947 si apre il processo ordinario informativo sugli scritti e la fama di santità della Serva di Dio a Genova e, il 17 aprile 1948, gli succede il secondo processo ordinario.
Finalmente il 9 novembre 1948 la Sacra Congregazione dei Riti decreta l’apertura dei processi ordinari informativi sulla fama di santità che si svolgono presso le Curie arcivescovili di Genova e Montevideo: l’esame degli scritti e quello sopra il culto.
Nel gennaio 1949 è nominato il Relatore e il 3 maggio 1952 è emanato dalla Sacra Congregazione dei Riti il decreto di apertura del processo ordinario relativo al dichiarato miracolo di guarigione.
Nel luglio 1952 è emanato il decreto per la revisione degli scritti della Serva di Dio.
Il 29 aprile 1953 ha luogo l’apertura del processicolo di Montevideo nel quale vengono interrogate sei suore testimoni della malattia e degli ultimi giorni di vita della Serva di Dio.
Il 13 aprile 1965 un decreto di P.p. Paolo VI introduce la causa di Beatificazione.
Le testimonianze che pubblichiamo sono relative ai suddetti processi canonici, tratte dai documenti ufficiali conservati nell’ASCG1.
ESERCIZIO EROICO DELLE VIRTÚ TEOLOGALI
La fede
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La carità verso Dio
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La carità verso il prossimo
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La fede
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21. - La Serva di Dio fu una donna di grande fede: in ogni suo atto, infatti, in ogni sua azione, in ogni sua parola traspariva e si affermava questa virtù, che la guidò fin dalla sua gioventù e che la portò a svolgere il suo fecondo apostolato presso la gioventù femminile e le classi più umili, specialmente dei pescatori e degli operai, non solo in Italia ma nell’America del Sud. Tutti invero i testi affermano che “fu un’anima di grande fede” (Summ, § 79. Concordano i testi ai §§ 57,73,761, 787. 830.).
La sua fede era sicura, certa, serena e marcava ogni sua attività. Don Antonio Vanessa, che aveva conosciuto la Serva di Dio quando essa era ancora nel secolo (Summ. §268), attesta: “Era donna di fede e ne dava l’esempio alle sue sorelle. Possedeva una fede serena e si applicava alla gloria di Dio” (Summ. § 278). Aggiunge suor Maria Assunta di S. Giovanni, che la conobbe fin dal 1892: “Trattando con lei io stessa e le mie consorelle vedevamo in lei spirare lo spirito di fede sia nelle parole, nelle opere e nei vari atteggiamenti” (Summ. § 428). La Signora Maria Solari de Pereza, che la trattò fin da quando essa arrivò a Montevideo, afferma: “ho la certezza ed il più profondo convincimento che era un’anima di gran fede e che tutta la sua vita era mossa da questa fede interna; io l’ho vista molte volte quando pregava e ricordo la sua grande pietà ed il suo grande fervore” (Summ. § 252). Parimente conclude la sig.ra Matilde Trucco, che la trattò fin dal 1890: “Mi sembra di poter dire, giudicandola dal suo portamento, dai suggerimenti che essa dava agli altri, che essa possedesse la virtù della fede” (Summ. § 323. Concordano altri testi ai §§ 39, 62, 79, 110, 118, 129, 148, 182).
22. - Questa sua fede era così viva ed operante che la trasmetteva a quanti con lei venivano in contatto, come ricorda la sig.ra Dolores Martinez Echeglie, che la trattò dall’arrivo di essa a Montevideo alla morte: “… era un’anima di grande fede; quando si stava in sua presenza sembrava che uno si contagiasse del suo spirito. Mi faceva sempre l’impressione che fosse un’anima molto pia. Tutte le sue fatiche furono mosse da questa gran fede dell’anima sua” ( Summ. § 118). Aggiunge il ministro plenipotenziario Stefano Carrara, che ben la conobbe: “Come ho accennato ho l’impressione viva ancora adesso di un’anima privilegiata da Dio: traspariva dal viso e dalla calma purezza del suo sguardo” (Summ. § 632). Agiva apostolicamente perché possedeva realmente la fede, che tutta l’animava e la vivificava, sì da accendere negli altri la medesima virtù, come attesta don Giuseppe Mexea, che la conobbe fin dalla sua fanciullezza: “Quando frequentavo il catechismo ce la Serva di Dio insegnava a noi fanciulli, si vedeva dall’atteggiamento che teneva che era convinta di quello che insegnava e cercava in tutti i modi di infondere nell’animo di ognuno una fede viva” (Summ. § 683). E riusciva magnificamente in ciò perché “la sua vita era costante atto di fede (Summ. § 866. Concordano i testi ai §§ 49, 79, 98, 361, 364, 399).
23. - Coltivò in modo perfetto questa virtù fin da giovane (Summ. §§ 16 e 429); e riuscì talmente a possederla che nessuno mai potè notare “in lei il minimo vacillamento in tutti i dogmi ed in tutto ciò che la Chiesa propone” (Summ. § 16). Sappiamo, infatti, che era profondamente convinta delle verità rivelate e quando ero giovane (così la sig.ra Maddalena Martino) ed in Albenga le tenevo compagnia anche di notte quando le suore andavano ad assistere gli ammalati, essa al mattino doveva partire e mi diceva: “se non posso sentir Messa bisogna che faccia almeno la S. Comunione: quando ho Gesù nel cuore ho tutto” (Summ. § 532).
Alimentò questa virtù con la preghiera più viva, tanto che – riferisce suor Pasqualina di S. Luigi, che trattò la Serva di Dio per 13 anni “a mattino quando ci alzavamo, la trovavamo già in preghiera” (Summ. § 165). E tutta la giornata era veramente per la nostra fondatrice una continua ed intima preghiera, come ricorda suor Maria Rosa di S. Chiara, che fu con la Serva di Dio dal 1887: “Era devotissima del SS.mo Sacramento, non usciva mai di casa e non vi rientrava senza aver fatto la visita a Gesù in Sacramento e ci aiutava a fare lo stesso dicendo: Salutiamo il padrone di casa. Faceva recitare lungo la giornata la Corona della Divina Provvidenza, il S. Rosario, la Corona Francescana e al mattino i cento Requiem a suffragio dei defunti.
Dalle 9.30 alle 10 del mattino e dalle 3,30 alle 4 del dopopranzo fare la lettura spirituale. Quando andava per la strada in compagnia di qualche consorella sempre pregava ed io stessa molte volte quando mi trovavo a Genova con lei e mi recavo in cerca di erbe e di legna presi parte alle surriferite preghiere.
Ho sentito dire che anche da ragazza e giovinetta era molto pia e devota, facendo il catechismo io stessa più volte ho udito che parlava con entusiasmo e con convinzione delle verità della fede e noi suore per questo gustavamo le sue conferenze. Anche nelle conversazioni sapeva sempre intercalare qualche istruzione in materia spirituale e diceva: Io andrei volentieri anche in missione per propagare la fede, convertire gli idolatri e pagani. Nelle sue lettere poi la fede traluceva da ogni espressione e inculcava di lavorare per l’eternità. Tutti i giorni sentiva la S. Messa e in principio faceva come noi la S. Comunione tre giorni la settimana, e in seguito tutti i giorni. Quando parlava dei sacerdoti, del Vescovo e del Papa mostrava grande rispetto e diceva: I ministri di Dio sono rappresentanti di N. Signore, e tale rispetto lo inculcava anche agli altri. Nell’assistenza degli ammalati si adoperava con prudenza e pazienza che si accostassero ai S. Sacramenti e lo stesso inculcava di fare noi sue umili figlie” (Summ. §§ 361-363).
24. - La sua preghiera era intensa e così unita si sentiva la S.D. col Signore da non sentire la voce di quanti potevano in quel momento chiamarla: “Quando pregava dava l’impressione della sua santità: pregava con tanto fervore che, alle volte, quando la chiamavamo non sentiva” (Summ. § 223). Pietà invero e fervore venivano constatati da quanti la vedevano in preghiera, come riferisce la teste Maria Solari de Perez: “Io l’ho vista molte volte quando pregava e ricordo la sua grande pietà ed il suo gran fervore” (Summ. § 252). Aggiunge suor Maria Francesca di Gesù: “Quando pregava si vedeva che pregava con grande fervore come se Dio l’avesse presente” (Summ. § 787).
Alimentava la sua fede, oltre che con la preghiera, con il culto al SS.mo Sacramento dell’altare:“Dimostrava la sua fede nel Signore, attesta Clara Leoncini, (che la conobbe quando essa era ancora nel secolo) specialmente al AA.mo Sacramento, che riceveva ogni giorno nella S. Comunione e visitava spesso: pregando dinanzi al S. Tabernacolo pareva una santa” (Summ. § 578). Aggiunge suor Cecilia di S. Felice: “era devotissima del SS.mo Sacramento e diceva: “Vorrei che almeno un centinaio di volte al giorno andaste a salutare il Santissimo Sacramento”. Quando rientrava in casa, noi le andavamo incontro, ma essa diceva: “Lasciatemi salutare il padrone di casa e poi vengo”. (Summ. § 400. Si vedano anche i §§ 429 e 761). Questo culto l’ha sempre coltivato fin dalla gioventù, come ricorda suor Maria Filippa di S. Michele, che ben la conobbe dal 1889: “E’ sempre stata molto pia e la sorella maggiore Maddalena diceva che anche da bambina e da giovinetta dava particolari segni di pietà sia nel pregare come nell’accostarsi ai S. Sacramenti e nel frequentare la chiesa. Aveva una devozione ardentissima verso il SS. Sacramento: ci invitava spesso a pregare con Lei dinanzi al Santissimo, specialmente quando aveva qualche pena o voleva ottenere qualche grazia e così anche per ringraziarlo dei favori ottenuti. Pregando da sola dinanzi al SS.mo Sacramento teneva le braccia distese e gli occhi fissi al Tabernacolo e noi qualche volta di nascosto andavamo ad osservarla; quando pregava assieme alla comunità teneva le braccia incrociate sul petto, come tutte le suore, imitando in ciò il nostro serafico S. Francesco.
Non si stancava mai di raccomandare la devozione all’Eucarestia e voleva che facessimo almeno cinque volte al giorno la visita al Santissimo Sacramento e alla fine della giornata voleva che ne rendessimo a lei conto” (Summ. §§ 479 e 480). Conferma suor Elisabetta di S. Luigi che “quando riceveva la Comunione sembrava un vero serafino” (Summ. § 148. Si veda anche il § 39).
25. - Particolare devozione aveva la Serva di Dio alla Vergine ed ai Santi, come unanimemente riferiscono i testi. In merito Don Angelo Vanessa, così ha dichiarato: aveva una speciale devozione alla Madonna della Provvidenza alla quale attribuiva lo speciale aiuto alla sua congregazione” (Summ. § 278). E’ noto che “recitava per intero tutti i giorni il s. rosario, la corona francescana e la coroncina dell’Immacolata, molte giaculatorie” (Summ. § 480). Sappiamo che “aveva una speciale devozione per S. Giuseppe” (Summ. § 79), ed “alla S. Croce, alla passione di N.S., al S. Cuore, alla Vergine, a S. Giuseppe ed ai Santi dell’Ordine” (Summ. § 400). Aggiungiamo che “aveva pure molta devozione alla Madonna e ci esortava ad essere devote e pregare la Madonna del Buon Consiglio, onde non avessimo a sbagliare. Era devota di S. Francesco e ne diede il nome all’istituto; era già terziaria quando stava al secolo e S. Francesco le piaceva molto per lo spirito di povertà che inculcava anche a noi” (Summ. § 955). Conferma suor Maria Gaetana di S. Biagio, dicendo. “Le speciali devozioni che notavamo in lei erano quelle al SS.mo Sacramento, alla SS.ma Vergine Immacolata ed a S. Giuseppe. In modo speciale prediligeva copiare le virtù di S. Teresa di Gesù” (Summ. § 16. Concordano i testi ai §§ 761, 787, 831, 866).
26. - Amava intensamente la Chiesa, che cercò di divulgare nel mondo, sicura che le anime ne avrebbero tratto molto giovamento e vedeva nei suoi capi, Sommo Pontefice, vescovi, sacerdoti, gli elementi sicuri e validi da amare, rispettare, ubbidire, come ad una voce ricordano ed attestano quanti ebbero di lei conoscenza. Suor Maria Agnese così ha deposto in merito: “ era rispettosa e ossequiente verso la Chiesa e il Papa: andò due volte a Roma2 per l’approvazione dell’istituto. So che la seconda volta ottenne l’approvazione. Ricordo d’averla sentita, dopo la prima volta che era andata a Roma e non aveva ottenuta l’approvazione, usare espressioni di pazienza, dicendo che forse il Signore aveva voluto umiliarlo. Ritengo fosse in buoni rapporti con il Vescovo di Albenga, poiché so che mentre essa avrebbe voluto dimettersi da superiora, lui insistette perché continuasse lei a dirigere: questo appunto indica che ne aveva stima. Si preoccupava di insegnare la religiose agli altri: ai giovani di Loano e Genova: si può considerare uno spirito missionario sia qui che in America. Prima di fare qualcosa, però, si consigliava col vescovo” (Summ. § 956).
Aggiunge suor Maria Silvia di San Francesco, che a Montevideo conobbe e trattò giornalmente la Serva di Dio: “Era un’anima di gran fede ed accettava incondizionatamente gli insegnamenti della Chiesa:quasi tutti i giorni ci esortava a venerare ed a rispettare i superiori ecclesiastici, specialmente il Romano Pontefice. Tutta la sua opera risponde a questo profondo sentimento di fede: inculcava in noi questo stesso sentimento di fede” (Summ. § 223). Conferma la teste Adelia Murena: “Era un’anima di gran fede oltre che attaccatissima alla Chiesa ed al Sommo Pontefice” (Summ. § 98). Parimenti attesta sr. Luigia Margherita, teste oculare dal 18853:“Aveva grande rispetto dei sacerdoti, e ci diceva. “Considerate come parola di Dio quanto i sacerdoti dicono nelle prediche, anche se non vi garbano troppo.” Quando ci parlava nelle istruzioni di certe verità di fede si vedeva che era pienamente convinta di quanto diceva, tanto era l’entusiasmo e la convinzione con cui ragionava” (Summ. § 761).
27. - Ci sembra importante rilevare che tutti i testi, ricordando la fede della Serva di Dio, sottolineano il fatto che questa virtù della Serva di Dio non rimase chiusa in se stessa e per se stessa, ma divenne un dono che ella sentì l’esigenza di dare agli altri, che ne apprezzarono tutta la grandezza e l’immenso valore, come attesta suor Maria Filippa di S. Michele, che trattò la Serva di Dio dal 1889: “Era pienamente convinta delle verità di nostra santa fede e ce ne accorgevamo dal modo di parlare ed anche dal modo con cui ci dirigeva. Ci spiegava le verità della fede con grande calore e spirito ardente e noi saremmo state sempre ad ascoltarla” (Summ. § 478). Conferma suor Maria Agnese Mosca: “La Serva di Dio esercitò la virtù della fede soprannaturale e l insegnava anche a noi con la parola e con l’esempio.
Alla domenica ci faceva istruzioni a questo scopo. Una volta domandò a me che ero giovane e lavoravo nelle cose affidatemi, con quelle spirito io lavorassi, ed io risposi che lavoravo per il Signore. L’esercizio della virtù della fede lo constatavano anche gli altri, perché si comportava con tutte così e per tutta la vita, e le altre suore ne parlavano in questo senso” (Summ. § 955). Fomentava lo sviluppo della fede anche durante il lavoro, come ricorda suor Cecilia di S. Felice: “Aveva una fede viva e cercava di inculcarla anche a noi: la sua vita era una continua preghiera, quando assieme facevamo lavori materiali come pelar patate e castagne, cucire, ecc.ci diceva: “Figlie facciamo svelte ogni patata, ogni castagna è un atto d’amor di Dio”” (Summ.§ 399. Si vedano anche i §§ 297,362,390).
Così insegnava con la parola e con l’esempio a ben pregare, come attesta la teste Elvira Dassori: “Aveva una fede ardente e pregava con grande fervore e bastava il suo esempio per infervorarci alla preghiera e quando passo dinanzi alla casetta dell’antica Villa Elice ove ci adunava per le preghiere, mi commuovo ancora adesso e penso: «Non ho mai pregato bene nella mia vita come quando pregavo in quella casa con la Serva di Dio e se fossi ricca la vorrei convertire in un santuario» (Summ. § 594). La sua preghiera ardente, specialmente dinanzi al SS.mo Sacramento dell’altare, attraeva a tal punto da ottenere conversioni: “… la Madre in America con la devozione al SS.mo Sacramento ha ottenuto molte conversioni” (Summ. § 930). All’esempio mirabile poi aggiungeva l’azione e la parola, come ricorda suor Cecilia di S. Felice: “L’istituzione dei catechismi, ai quali teneva tanto per inculcare la fede ai fanciulli erano espressione di ardente fede… Fece anche il catechismo, specialmente ai pescatori… Seppi dalle Suore d’America che andava ad istruire i carcerati e si recava anche nei villaggi sparsi per la campagna privi di sacerdote a fare il catechismo” (Summ. § 399). Non si arrestava mai ed aprì nuove case per poter propagare ovunque la fede cattolica: “incrementa la sua opera per propagare la fede e far conoscere di più Dio, nostro Signore” (Summ. § 98). Infatti, ben a ragione dai testi la sua vita viene qualificata come “un costante atto di fede” (Summ. § 866).
28. - Per cui si conclude affermando che la Serva di Dio non solo “possedeva una fede vivissima” (Summ. § 165), era un’anima di grande fede” (Summ. § 165), “viveva di fede” (Summ. § 724 e 517, 588), “possedeva una fede incrollabile” (Summ. § 196), ma che questa sua virtù era “grande” (Summ. §§ 182, 223, 245, 263, 278, 399, 603, 653), “soprannaturale”(Summ § 955) “eroica” (Summ. § 297).
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29. - Anche la virtù della speranza fu nella Serva di Dio coltivata in modo straordinario come dimostra tutta la sua esistenza, che tese sempre alla conquista della vita futura, per cui rinunciò alle comodità della vita usando dei mezzi umani soltanto quanto era necessario per il normale vivere; “Per amore di Dio e della virtù – afferma suor Emilia di S. Francesco – rinunciò ad un buon matrimonio e si diede tutta a Dio per esercitare la carità in modo speciale verso gli ammalati” (Summ. § 728). Tese infatti soltanto alla conquista della vita eterna per sé e per gli altri: “Era distaccata dai beni terreni ed aveva solo speranza nei beni celesti. Non teneva agli onori e alle lodi”. (Summ. § 788). E’ noto che diceva: "i beni e gli onori di questo mondo non servono per l’eternità. "Non era attaccata affatto ai beni di questa terra: la sua mente era assorta in Dio” (Summ. § 365). Aggiunge il p. Cherubino da Ceriana, che la trattò per una trentina d’anni: “ Mi consta che ebbe molte difficoltà e dispiaceri, ma confidava sempre in Dio, dicendo "il Signore provvederà". Credo che possedeva le tre virtù teologali. Sono convinto che le sue speranze non erano riposte nelle cose di questa terra; non mi sono mai accorto che potesse fare qualche cosa per amore proprio, quindi, certamente erano dirette alle cose del cielo” (Summ. § 79).
30. - Infatti, di difficoltà ne ebbe molte, ma le seppe tutte superare avendo di mira la conquista del Bene supremo, cioè Dio e riferendo tutto a Lui, mediatore sicuro per ogni bene: “ Quando per i contrasti con la signora Elice dovette uscire di casa non perdette la confidenza in Dio e diceva "Noi siamo nulla, se facciamo un po’ di bene è per l’aiuto di Dio, noi ci abbiamo solo i nostri difetti". Nelle strettezze finanziarie confidava solo in Dio: nel mese di giugno del 1887 non v’era nulla in casa, avevamo riparata una camicia ad un uomo che ci pagò con novanta centesimi coi quali comperammo un po’ di tonno che mangiammo assieme a pane duro e cipolle crude. Eravamo in quindici e la Madre ci fece osservare che la Provvidenza ci aveva soccorso. A Genova al secondo anno, mi pare, che eravamo in quella casa, rimanemmo senza nulla, la Serva di Dio ci mandò a pregare in cappella e nel frattempo giunse un uomo che ci portò un sacco di farina e un altro di gallette. La Madre disse: Abbiamo fiducia in Dio, la Provvidenza vedete ci aiuta, siamo le riconoscenti.
Era sempre rassegnata quando la morte le strappava qualche religiosa, specialmente se utile alla congregazione, sopportandone cristianamente la perdita” (Summ. §§ 363-367. Si vedano anche i §§ 656, 684, 726, 918).
Quindi, seppe sempre superare sia le difficoltà materiali che quelle spirituali, senza mai perdersi di animo, neppure nei momenti più gravi, riuscendo anzi ad infondere fiducia e sicurezza a chi le era vicino, come riferisce suor Maria Valentina di S. Teresa: “Era staccata dai beni di questa terra e diede tutto il fatto suo per i poveri e la congregazione. Nei momenti delle più gravi strettezze confidava sempre nella provvidenza, sperava nel Paradiso. La sua sola presenza e le sue parole ci animavano alla fiducia e speranza in Dio, tanto che alla sua permanenza in America sentivamo la sua assenza. Confidava con tutte le sue forze in Dio, non l’ho mai vista disgustata negli insuccessi” (Summ. § 561).
Ricorda suor Maria Rosa di S. Chiara, che “quando giunse la notizia del martirio delle nostre suore nel Brasile, trovandosi la Serva di Dio nel convento di Genova, ove ero anch’io, la vidi allargare le braccia e la sentii dire: «Sia fatta la volontà di Dio! Io non sono stata trovata degna di partecipare al loro martirio» e indisse speciali preghiere in suffragio delle medesime” (Summ. § 364).
31. - Infatti, nessun teste, tra quelli che ben la conobbero e la trattarono, la ricorda abbattuta e scoraggiata, neppure quando sembrava non esservi più alcuna speranza umana. La Serva di Dio si rivolgeva allora ancor di più al Signore e si affidava sicura alla Divina Provvidenza, certa che non sarebbe stata abbandonata. E la sua fiducia fu sempre ricompensata, come ricordano i testi e comprova lo sviluppo della sua congregazione. Suor Cecilia di S. Felice, che la trattò dal 1890 così sintetizza questa virtù della Serva di Dio, che non esita a qualificare come eroica: “Nelle avversità, dolori, dubbi, ricorreva a Dio colla preghiera e in ogni bisogno particolare della congregazione ci raccomandava di pregare anche noi. La Serva di Dio praticò eroicamente la virtù della speranza in Dio. Nella scelta stessa della vita religiosa essa ebbe di mira la salvezza della propria anima disprezzando i piaceri ed onori del mondo. Nelle difficoltà, specialmente nei primi tempi, io stessa l’ho sentita dire:«Pregate, il Signore ci assisterà». Anche quando seppe del martirio delle sue suore ad Alto Allegre in Brasile pianse sì, ma si rassegnò alla volontà di Dio e disse: «Abbiamo della martiri in cielo che pregheranno per noi e per la missione». Non stimava nulla i beni ed onori del mondo e anche nelle strettezze finanziarie, mai la vidi impensierita, ma sempre confidava in Dio” (Summ. § 401).
Parimenti attesta suor M. Anacleta di S. Bonaventura, teste dal 1897: “Confidava sempre nell’aiuto di Dio nelle sue difficoltà e non si lamentava mai. E nei momenti di difficoltà pregava e faceva pregare il Signore. "Non dubitate figlie – diceva – se la comunità è del Signore, Egli la soccorrerà e non ci lascerà mancare il pane". Nei momenti in cui era molto onorata dalle autorità, specialmente in America, diceva poi alle suore: "Non ci badate è tutto fumo", e si ritirava nella stanza a pregare e a darsi la disciplina”. (Summ. § 832).
Il fatto ricordato da sr. Maria Margherita Bruzzo, che giovanissima conobbe nel 1885la Serva di Dio conferma il carattere soprannaturale della speranza della S. D.: “Non aveva alcuna fiducia nei beni di questa terra; tutta la sua fiducia era in Dio. Anche nei momenti tragici confidava in Dio. Ricordo che nell’ultimo viaggio che feci con la Madre per l’America abbiamo avuto una furiosa tempesta nell’atlantico, era durata ventiquattro ore. Il capitano diceva che non aveva mai vista in vita sua una tempesta simile: la nave faceva acqua da alcune parti, alcuni religiosi gesuiti si affannavano ad assolvere in massa i naviganti, dato il grave pericolo, e i marinai si affannavano a chiudere le falle e buttare in mare l’acqua. Ad un certo punto il capitano avvicinatosi alla Serva di Dio le disse: «Non c’è più speranza, se non ci salva Dio con un miracolo siamo perduti.» La Madre lo rincuorò dicendo:«Abbiamo fede in Dio e nella Vergine del Carmelo che è venerata nella cappella della nave e non ci capiterà nulla di male e ci salveremo». Infatti la tempesta cessò e la nave poté finalmente raggiungere l’America” (Summ. §§ 763-764).
32. - Un altro particolare aspetto o meglio un altra particolare quanto logica conseguenza della speranza della Serva di Dio viene sottolineata dai testi meglio informati: il totale, assoluto e perpetuo distacco da parte della Serva di Dio nei riguardi dei beni terreni. In lei non vi era il benché minimo attaccamento né ricerca di tali beni, poiché tutto essa si aspettava da Dio e perché ciò cui tendeva era solo il premio finale, come ricorda la teste Maddalena Martino: “ Non era attaccata né alla ricchezza, né agli onori mondani e mi diceva: «Vedi in questo mondo tutto è vanità», non desiderava che la festeggiassero e le dessero onori speciali. Nel laboratorio alle suore diceva: «Facciamo tutti i sacrifici che possiamo in questo mondo per guadagnarci il paradiso: la via del paradiso è stretta e piena di spine». Tale speranza cercava con tutti i mezzi di infonderla anche al popolo” (Summ. § 534).
Conferma il sacerdote Giuseppe Mexea: “Era distaccata dai beni di questa terra e lo dimostrò sacrificando se stessa ed i suoi beni per la congregazione e l’assistenza degli infermi. Non ambiva affatto gli onori del mondo, ma desiderava solo il cielo” (Summ. § 684). Parimenti suor Maria Scolastica di S. Benedetto così riferisce: “Era distaccata dai beni di questa terra e se ne disfece per fare del bene e con grande ardore tendeva ai beni eterni. Nelle strettezze economiche confidava nella Divina Provvidenza” (Summ. § 746).
33. - Questa virtù coltivò nelle consorelle ed in quanti avvicinava: non perse infatti occasione per esortare a sopportare con fermezza e serenità traversie e dolori istillando nei sofferenti il pensiero che ciò che contava era la vita eterna, come attesta la I teste del processo rogazionale di Albenga: “ Nei nostri sacrifici per gli ammalati ci esortava a confidare in Dio e ci diceva che tutti i sacrifici che si possono fare non sono perduti, ci vengono da Dio compensati con l’eternità e servono alla conversione dei poveri peccatori” (Summ. § 363).
E così convinta era di ciò che suggeriva agli altri che “diceva spesso: "Il più bel giorno della mia vita sarà quello della morte". Lo dimostrò sacrificando se stessa ed i suoi beni in opere di carità” (Summ. § 594). Quindi, la speranza che viveva la portava ad altri non solo con la parola incitatrice ma con l’esempio più vivo, come dimostra il fatto seguente: “Sì, viveva di speranza, non solo l’aveva, ma la portava ad altri, come avvenne nel caso in cui baciò un’inferma malata di peste, che nemmeno la sua famiglia baciava e la Madre lo fece perché vincendo questa ripugnanza, incoraggiasse questa povera inferma e la preparasse alla vita eterna” (Summ. § 867).
Il che conferma che il grado della speranza nella nostra Serva di Dio fu veramente straordinario, soprannaturale, eroico.
34. - L’amore per il Signore fu una delle note distinte della Serva di Dio, quella che forse risultava più evidente e anche quella che forse maggiormente colpiva che le si avvicinava. L’amore per Dio e per tutta la Chiesa ed i suoi rappresentanti si manifestava attraverso un profondo spirito di orazione, attraverso un altrettanto forte odio per il peccato e per qualunque altra azione o anche solo atteggiamento che potesse offendere il Signore ed in quello che faceva, attraverso il suo apostolato, per diffondere tale amore nelle anime.
La teste I del Proc. Ord. di Montevideo così infatti attesta: “Si distinse sempre per il suo amore verso Dio, e nelle sue parole, e nelle sue opere. Tutto le serviva per inculcare in noi l’amore a Dio. La sua costante preoccupazione era la gloria di Dio ed il bene delle anime; a questo fine castigava il suo corpo, per quanto a noi stiracchiava il permesso di far penitenza. Molte volte, e specialmente nei suoi viaggi in Brasile, manifestò il suo desiderio di martirio” (Summ. § 18).
Amava la natura perché opera di Dio ed amava gli esseri umani perché creature di Dio ed era per lei motivo di grande dolore il sentir bestemmiare il suo nome: di fronte alla bestemmia ella reagiva con vivacità e tristezza al tempo stesso e la sua accorata reazione non mancava di sortire il giusto effetto. A questo proposito leggiamo quanto depone suor Paqualina di S. Luigi che la praticò per 13 anni: “Possedeva un grande amore di Dio; nel guardare gli alberi era solita ripeterci: "Figlie, magari queste foglie fossero tanti cuori che amassero Dio". La stessa cosa diceva riferendosi alle pietre. Abbracciava con amore le statue di Gesù. Non ho mai potuto notare in lei, benché minimamente, che fosse stata animata da altre ragioni che non fossero l’amore di Dio. Durante il viaggio in America, sentendo che il capitano de, bastimento, durante una pratica di salvataggio), bestemmiava gli disse: "Signor Comandante, perché offende Gesù?" e furono così appassionate le parole della Madre che il Capitano si mise in ginocchio, chiese scusa e implorò il perdono a Dio nostro Signore, promettendo di non bestemmiare più; come in realtà fece” (Summ. §§ 167-168).
35. - L’amore per il Signore la Serva di Dio lo manifestava in modo evidente attraverso la preghiera: pregava continuamente, in ogni occasione ed era molto precisa per quanto riguardava l’obbligo delle orazioni da parte delle consorelle. D’altra parte non chiedeva nulla che ella non facesse per prima, dando così un esempio di ciò che era l’amore per Dio e per tutto ciò che lo riguardava. È per il Signore sopportava qualunque privazione con gioia ed era questo l’invito che più frequentemente rivolgeva alle sue consorelle. Depone in tal senso una religiosa, la teste II del Processo rogazionale di Albenga che ben conobbe e frequentò la Serva di Dio: “So che essa insisteva perché si dicesse col cuore e con vera convinzione: Sia per amor di Dio, ed era generosissima di se stessa per darsi a Dio, non guardando a sacrifici, e a difficoltà e ci ripeteva spesso: "Figlie, non guardate a sacrifici, basta che facciate del bene". Ed anche per la strada e lavorando diceva insieme con la corona: Gesù mio misericordia per i poveri peccatori e lo inculcava a noi. Accettava in ogni cosa la volontà di Dio. Voleva che non lasciassimo mai l’Ufficio della B. Vergine e le altre preghiere dell’Istituto e dovendo andar via faceva adempiere l’obbligo della preghiera. Raccomandava sempre la meditazione del mattino dal libro del Pinnelli “Cibo dell’anima” e alla sera la meditazione sulla passione di N. Signore e come lettura spirituale le opere di S. Teresa” (Summ. § 401).
36. - Spicca dalle testimonianze di coloro che conobbero bene la Serva di Dio come ogni momento della sua giornata fosse dedicato interamente a Dio, anche quanto apparentemente sembrava occupata in altri compiti e come ogni avvenimento, lieto o triste che fosse, venisse da lei ricondotto al Signore: amore che ella non tralasciava mai di raccomandare e alle consorelle e a coloro con i quali per motivi di apostolato, entrava in contatto. In merito così ha deposto suor Maria Filippa di S. Michele, che ben conobbe e trattò la Serva di Dio dal 1889: “Tutta la sua vita fu un continuo atto di amor di Dio, e aveva sulla bocca il detto che ha lasciato alla congregazione come parola d’ordine: «Tutto per amor di Dio!». Lo esplicava anche nell’amore del prossimo nel quale vedeva Dio. Il suo amore verso Dio spiccò alla notizia del massacro delle suore ad Alto Allegre quando disse. "Se rimanevo ancora qualche mese anch’io sarei stata nel numero delle martiri, non sono trovata degna del martirio". Manifestava pure il suo amore a Dio col fervore con cui pregava, come ho già detto altrove; alimentava questo amore con meditazioni che avevano per oggetto la passione del Signore la sera, e il libro del Rodriguez “Esercizi di perfezione” forniva l’argomento per la meditazione del mattino.
Quando sentiva proferire qualche bestemmia, recitava e faceva recitare giaculatorie e preghiere riparatrici come: “Dio sia benedetto”. Preferiva l’amor di Dio a qualunque altra cosa e avrebbe voluto amarlo più di tutti: viveva alla sua presenza e ne raccomandava a tutti l’esercizio e diceva: "Coll’esercizio della presenza di Dio, non si può peccare"” (Summ. §§ 483-485).
37. - Si sottomise completamente alla volontà divina: “Preferì la volontà di Dio alla sua propria” afferma la teste II del processo apostolico di Montevideo (Summ. § 868). E questo anche nelle difficoltà e nei momenti di amarezza, nei quali – come ricorda suor Maria Francesca di Gesù – “non si agitava e soleva dire: «Cosa vuole Iddio così dobbiamo volere noi»” (Summ. § 788). Gesù infatti era la sua guida sicura perché “era innamorata di Cristo. Lo dimostrò con la donazione a Dio e col suo spirito di preghiera” (Summ. § 868). E tutti affermano che “la maggior preoccupazione era lavorare per il regno di Dio” (Ivi).
Viveva e raccomandava di vivere tenendo sempre presente che si era alla presenza di Dio: “Ci raccomandava di vivere alla presenza di Dio, come essa stessa faceva – attesta suor Luigia Margarita -, ricordandoci l’insegnamento di S. Francesco di Sales a questo riguardo ed aggiungendo: «Se camminerete alla presenza di Dio non cadrete in alcun difetto»” (Summ. § 766). Aggiunge suor Valentina di S. Teresa: “Desiderava che tutte noi ardessimo di amore di Dio e ci facessimo sante” (Summ. § 563).“Aveva sempre in bocca la frase «Sia per amor di Dio», che rimase poi abituale nella congregazione. Sovente diceva alle suore: «Pensate che Dio ci vede»” (Summ. § 746).
Evitò i peccati, anche veniali, cercando veramente che nulla potesse impedire in lei quella perfetta unione col Signore che tanto desiderava: si sforzava anche che coloro che frequentava o che trattava avessero sempre la medesima intenzione, come i testi ricordano: “Esplicava il suo amore verso Dio sforzandosi di evitare anche i minimi peccati veniali, cercava di riparare le offese pubbliche che si fanno a Dio ordinando comunioni riparatrici e facendo con noi l’Ora Santa in riparazione delle offese che si fanno al Signore” (Summ. § 765). Così la teste XXXV del processo rogazionale di Albenga. Aggiunge suor Emilia di S. Francesco: “Oltre che nelle preghiere dimostrava amore a Dio riparando ai peccati che si fanno nel mondo in speciale con la bestemmia, recitando giaculatorie come: «Gesù mio misericordia! Maria concepita senza peccato, ecc.» e ci inculcava anche a noi di farlo” (Summ. § 728. Concorda § 657).
38. - Quanti hanno conosciuto e trattato la Serva di Dio ricordano il particolare amore a Dio della medesima: guardandola si aveva “l’impressione viva … di un’anima privilegiata da Dio: traspariva dal viso e dalla calma purezza del suo sguardo. S. Giovanni della Croce – afferma il ministro plenipotenziario Stefano Carrara – direbbe che c’era (in quello sguardo) il ricordo abituale di Dio accompagnato da un amore attento e ansioso” (Summ. § 632). “La sua vita – aggiunge il Rev.do Giuseppe Mexea – fu un continuo atto di amore di Dio ed il motto “Sia per amore di Dio” lo lasciò come ricordo alle sue suore. Tutta la sua vita di pietà fu una continua elevazione a Dio ed un continuo atto di amore verso di lui” (Summ. § 918).
39. - L’amore verso il prossimo fu la nota caratteristica della Serva di Dio; infatti, per lei, il prossimo era Dio: ella lo amava di volta in volta nel povero, nell’ammalato, nell’escluso, insomma in tutti coloro che soffrivano ed ai quali la Serva di Dio prestò la sua amorosa opera, spirituale e materiale, cercando con ogni mezzo a sua disposizione di alleviarne le sofferenze. In merito suor Maria Eletta4 del Bambino Gesù, che ben conobbe e rattò a lungo la Madre Francesca, ha così scritto: “Si poteva vedere molto chiaramente in lei l’amore di Dio e del prossimo in tutto quello che faceva; le cure che aveva per le suore, per i malati, per i bambini, cercava sempre per lei le cose più pesanti, le più difficili; vedeva in tutto l’immagine di Dio, preferiva assistere i malati più abbandonati di anima e di corpo, faceva con amore i lavori più bassi, arrivò persino a baciare una malata di cancro, a cui nemmeno i parenti osavano avvicinarsi” (Summ. § 393).
Parimenti ha riferito suor Isabella di S. Luigi, che convisse molto tempo con la Serva di Dio ricordando non solo come essa si adoperasse personalmente nel lavoro ospedaliero ma si sforzasse di ben ricevere anche gratis le bambine nel collegio di Belvedere: “Nell’ospedale lei preparava la minestra per i malati, ai quali arrivava soddisfatta con un piatto fumante, dicendo: «Prendano, prendano, poiché è preparata con zucche». E bisognava vederla come si rallegrava e quanta gioia traspariva attraverso il suo volto, quando si disponeva a servire i poveri e i malati. Uguale letizia insegnava alle sue religiose, inculcando loro come dovevano vedere la persona di Cristo sotto i cenci dei poveri e le malattie degli infermi.
Nel collegio di Belvedere voleva che tutte le bambine fossero ricevute gratis e quando più tardi le si consigliava di esigere da esse qualche somma mensile, non poteva abituarsi a questo, poiché le pareva che in questo modo la sua carità non fosse perfetta. Mentre stava in questo collegio si occupava di tutto e stava in tutti i luoghi, lavorava nella cucina, nel podere… ecc.” (Summ. § 388).
Formò in questo spirito le sue religiose, che, seguendo il suo esempio ed i suoi consigli, divennero degli apostoli di carità, meritando l’elogio di quanti vedevano la loro attiva opera: Suor Annunziata Vintoti, già molto anziana, diceva i dottori e al personale del sanatorio Luigi P. Lenguas, “Circolo Cattolico di Operai”, in un omaggio che le fecero elogiando la sua bontà, le sue eccellenti qualità di intelligente infermiera: “Ringrazio Dio che imparai tutto quando ero molto giovane dalla mia Madre fondatrice. Lei mi ha insegnato come dovevo fare ogni cosa e come dovevo comportarmi con tutti quelli che avevo vicino. Ringrazio Dio e benedico i giorni felici in cui appresi da una Madre tanto buona ad amare e servire i fratelli per amor di Dio” (Summ. pp 391-392).
40. - La sua carità era nota a tutti e quanti la trattavano, l’amavano per questo suo prodigarsi per ogni dolore, necessità, sofferenza, come attesta suor Isabella di San Luigi con questa testimonianza: “La sua carità trovava sempre modo di soccorrere i bisognosi. Se, all’ora di pranzo arrivava qualche povero, che non si sapeva come soccorrere, subito si levava da tavola, dicendo: «Gli darò la mia frutta» e in questo modo si toglieva spesso il pane di bocca per darlo a chi veniva a chiedere un’elemosina in nome di Dio…
Una volta mentre viaggiava in tram, un operaio tranviario uscì in questa espressione: «Fa freddo, Suora, non è vero?». Al che lei rispose togliendosi immediatamente lo scialle che aveva indosso e offrendolo all’operaio.
Dopo, quando le Suore viaggiavano in tram, non era raro che incontrassero qualcuno che domandava loro: "Come sta la Madre?" "Come! Lei conosceva la nostra Madre?"- "E come non la conoscerei? Se fu lei che una volta si tolse lo scialle perché io mi riparassi durante i tempi freddi". Per questo e per altri tratti simili la sua persona era molto familiare e amata tra la gente operaia, che la stimava grandemente: in modo particolare gli autisti e conducenti di tram, i quali, vedendola anche da lontano, la aspettavano, orgogliosi che viaggiasse con loro” (Summ. pp. 385-386).
La teste X del Proc. Ord. di Montevideo parla della squisita bontà di cui la Serva di Dio dava sempre prova nel prendersi cura di coloro che soffrivano e di come ella si adoperasse per diffondere questo sentimento nell’ambito della congregazione; “Faceva molta carità ai poveri ed agli ammalati e quando andava a visitarli, regalando loro indumenti tolti agli scarsi che possedeva la comunità e si addolorava per la scarsezza di “biancheria” come diceva lei, nei poveri e di non poter dar loro di più, per il suo stato di povertà. Ricordo la carità e le cure delicate con le quali assistette una suora, appartenente al primo gruppo della fondazione, a nome mi sembra, Suor Geltrude, la quale morì tubercolosa. Con gli ammalati era buonissima e pronta ad ogni sacrificio. Possedeva un grande zelo per le anime. Inoltre esortava le religiose a tollerare i difetti le une delle altre per vivere caritatevolmente nella comunità. Era molto generosa e caritatevole; non poteva dar di più perché non possedeva e, per le sue religiose, s’imponeva ogni genere di privazioni” (Summ. § 101).
Si preoccupò dei poveri tanto dal punto di vista materiale quanto spirituale: se mancava loro vitto o indumenti, la Serva di Dio si adoperava per rifornirli, se invece in una famiglia vi erano problemi di ordine morale, faceva di tutto per aiutarli a risolverli, come riferisce suor Elisabetta di S. Luigi, che fu con la Serva di Dio per 24 anni: “L’amore verso il prossimo procedeva di pari passo con l’amore verso Dio. Era tutta generosità verso i poveri. Una volta, stando in tram, si tolse il mantello per darlo ad un tranviere. A Belvedere, la situazione economica del collegio era sempre precaria a causa della generosità della Madre verso i poveri. Credo che non avrebbe potuto fare di più di quello che fece per la salvezza delle anime, per le quali possedeva uno zelo ed una sete ardente. A volte andava a piedi per dare ai poveri il denaro del viaggio. Dava ai poveri una parte del suo cibo. Si preoccupò con tutta l’anima di salvare le anime degli ammalati, dei bambini e di tutti i suoi fratelli. I frutti ottenuti furono molti. Una volta ottenne la conversione di un peccatore indurito, mediante le sue preghiere ed i suoi sacrifici” (Summ. § 150).
41. -Lo stesso intenso amore che nutriva per i poveri e gli ammalati, cui donava quanto era nelle sue possibilità, la Serva di Dio lo provò per le anime del purgatorio per cui pregava e faceva pregare e per coloro che erano avversi e per i quali provò sempre sentimenti di pietà e mai di rancore o anche solo di antipatia. Animo nobile e generoso, fu sempre pronta a perdonare e a dimenticare le offese e le ingiurie, e, in caso di necessità, ad aiutare chi le aveva fatto del male. E’ questo quanto conferma la teste III del Processo ordinario di Albenga: “La carità la Serva di Dio l’ebbe in grado sommo per gli ammalati, i poveri che venivano alla porta, per tutti in generale. Ci diceva: «Se venissero a chiamarvi per andare ad assistere qualche ammalato ricco o povero, preferite il povero al ricco, potendo il ricco aggiustarsi diversamente».
So dalle suore che essa mandava le sue figlie a curare i vaiolosi e ci andava anch’essa; quando qualche volta ci faceva qualche ammonizione terminava dicendo: «Ho parlato un po’ forte, ma che volete? Ho fatto il mio dovere». A Genova c’era un bambino senza una gamba che era costretto all’accattonaggio, la Madre Francesca fece l’offerta alla mamma del bambino di ritirarlo dalla strada e metterlo in qualche istituto a sue spese per l’istruzione e l’educazione, ma la madre si rifiutò perché colle sue elemosine manteneva tutta la famiglia.
Raccomandava anche di pregare per le Anime Sante del Purgatorio. Si dava ad opere di bene per carità e per salvare le anime, escludendo ogni fine mono retto; non conservava rancore e perdonava generosamente tutti i suoi offensori. Tutta la sua opera di bene per i malati dimostra la sua grande carità verso il prossimo. Ci trattava tutte egualmente, anche quando ci correggeva e qualche volta disse: «Ho parlato un po’ forte, ma è mio dovere, vorrei vedersi tutte sante»(Summ. § 437-439).
42. - L’apostolato della Serva di Dio fu ininterrotto e fervidissimo: prese molte e lodevoli iniziative per migliorare le condizioni di vita materiale e spirituale delle classi meno agiate della popolazione, che erano quelle più care al suo cuore. Delle prime iniziative della Serva di Dio parla il teste XIX, del Processo rogazionale di Albenga, un laico che così ha deposto: “La Serva di Dio venuta a Loano per i bagni cercò di beneficare i poveri bisognosi andando nelle loro case e portando soccorsi e insegnando poi il catechismo ai bambini. Cercava inoltre d’inculcare la pratica della religione ai pescatori e specialmente a quelli alieni dalla Chiesa. Abitando nell’estate nella casa della signora Elice concertò con loro di fondare una piccola congregazione per l’assistenza degli ammalati poveri a domicilio. Si aggregò poche compagne e si diedero subito all’assistenza gratuita ai malati poveri e facevano anche il catechismo ai fanciulli e alle fanciulle. Si faceva fronte alle spese coi proventi della dote della Serva di Dio, e il popolo diceva: ‘Questa donna si spoglia del suo per fare del bene ai poveri’. Tutta questa opera produceva frutti di bene e santificazione fra il popolo e specialmente tra i fanciulli e gli ammalati” (Summ. § 606).
Altri significativi episodi comprovanti la grande carità per il prossimo che animò la Serva di Dio e ne guidò le azioni, vengono riferiti da suor Maria Agnese Mosca, che così ha dichiarato: “Aveva un grande amore del prossimo: quando qualche povero chiedeva un po’ di minestra, se non ce n’era più, faceva dare la sua parte e lei mangiava un po’ di pane; questo l’ho visto io che servivo a tavola: diede consiglio alle future superiore di fare ugualmente e non mancare mai alla carità del prossimo. Qualche volta, vedendo che io avevo poca minestra, mi volle dare la sua. Ricordo perché ero presente, questo episodio: una volta che era stata richiesta l’assistenza per un ricco e un povero, la Serva di Dio mandò una suora del malato più ricco e lei personalmente andò dal povero.
Il suo amore del prossimo era proprio per amore di Dio, non per ostentazione o simpatia: aveva imparato da D. Bosco. Una volta uscii con lei per la strada e un mendicante ci chiese l’elemosina: la Madre frugò nelle tasche e trovò soltanto due soldi e li diede al povero, scusandosi per non avere di più: il povero ringraziò effusamene e io ne rimasi commossa.
La Madre si è sempre interessata di istruire i poveri e tutti, curandosi in modo speciale, delle famiglie in cui avesse scoperto che mancava la religiosità. Una volta io stessa le segnalai una famiglia ed essa se ne occupò. Ci esortava a pregare e offrire fioretti per la conversione dei peccatori. Quando fosse stata offesa, taceva e offriva al Signore”. (Summ. § 960-961).
43. Questa virtù esercitò fino agli ultimi giorni di vita e volle lasciare questo suo elevato spirito di carità nelle sue religiose: “Negli ultimi istanti della sua vita chiamò tutte le religiose che potè riunire attorno al suo letto e raccomandò loro:«Fate ogni giorno un maggior e migliore apprezzamento del tempo, preoccupatevi di acquistare le virtù perché al momento della morte tutto è nulla… Mi sembra di non aver vissuto nient’altro che un secondo»“ (Summ. § 387).
Straordinaria fu questa virtù in Madre Francesca. Infatti: “La Madre Isabella che entrò nella Congregazione nell’anno 1888 e dopo tutta la facilità che ebbe di conoscere la Madre fondatrice, suole dire: “quando più penso a lei, più lei mi sembra Santa Teresa di Gesù. Era un rogo acceso d’amore verso Dio e verso il prossimo, era per lei abituale sentire ed esprimersi così: «Lavoriamo sempre per il bene delle anime»“ (Summ. Pag. 387).
Grado veramente straordinario di virtù, come conferma il sacerdote Antonio Canessa, che conobbe la Serva di Dio fin da quando era nel secolo, e che così conclude: “Secondo me, la Serva di Dio ha praticato la carità in grado eroico verso le consorelle, ed in modo speciale verso il prossimo” (Summ.§ 280).
1 ASCG, sezione Madre Fondatrice, serie Causa di Beatificazione, 1: Sacra Congregatio pro causis sanctorum. Montisvidei seu Ianuen.Canonizationis Servæ Dei Mariæ Franciscæ a Jesu. Positio super virtutibus, Roma, Tip. Guerra, 1984, pp. 740.
2 La Madre andò più volte a Roma; l’ultima fu nel 1902 per consegnare le Costituzioni e i dati richiesti dalla Congregazione. L’istituto venne approvato nel febbraio del 1910 (la Madre era morta il 6 agosto del 1904). Sui viaggi a Roma cr.cartella “dati personali di Madre Francesca nell’archivio della curia generale.
3 Conobbe la Madre a 14 anni nel 1885 a S. Margherita Ligure, suo paese natale. Cf dati della teste Summ. pag. 228 – XXXV teste
4 Sr. Maria Eletta del Bambino Gesù non trattò a lungo Madre Francesca. A pag. 390 del Summ. essa stessa dice: “Non ebbi la fortuna di conoscere la Madre Francesca, perché quando andò a casa mia io ero piccola…”.
2 La Madre andò più volte a Roma; l’ultima fu nel 1902 per consegnare le Costituzioni e i dati richiesti dalla Congregazione. L’istituto venne approvato nel febbraio del 1910 (la Madre era morta il 6 agosto del 1904). Sui viaggi a Roma cr.cartella “dati personali di Madre Francesca nell’archivio della curia generale.
3 Conobbe la Madre a 14 anni nel 1885 a S. Margherita Ligure, suo paese natale. Cf dati della teste Summ. pag. 228 – XXXV teste
4 Sr. Maria Eletta del Bambino Gesù non trattò a lungo Madre Francesca. A pag. 390 del Summ. essa stessa dice: “Non ebbi la fortuna di conoscere la Madre Francesca, perché quando andò a casa mia io ero piccola…”.