“Il 28 dicembre 1908 un terremoto di magnitudo 7.2 dell’11° della scala Mercalli, si abbatté violentemente sullo Stretto, colpendo Messina e Reggio in tarda nottata, alle 5:20 ora locale. Uno dei più potenti sismi della storia italiana aveva quindi colto la regione nel sonno, interrotto tutte le vie di comunicazione (strade, ferrovie, tranvie, telegrafo e telefono), danneggiato i cavi elettrici e le tubazioni del gas, e sospeso così l'illuminazione stradale fino a Villa San Giovanni e a Palmi. Con lo strascico di un maremoto, l'evento devastò particolarmente Messina, causando il crollo del 90% degli edifici (...) Nella nuvola di polvere che oscurò il cielo, sotto una pioggia torrenziale e al buio, i sopravvissuti inebetiti dalla sventura e semivestiti non riuscirono a rendersi conto immediatamente dell'accaduto. Alcuni si diressero verso il mare, altri rimasero nei pressi delle loro abitazioni nel tentativo di portare soccorso a familiari e amici. Qui furono colti dalle esplosioni e dagli incendi causati dal gas che si sprigionò dalle tubazioni interrotte (...) Ai danni provocati dalle scosse sismiche e degli incendi si aggiunsero quelli cagionati dal maremoto, di impressionante violenza, che si riversò sulle zone costiere di tutto lo Stretto di Messina con ondate devastanti stimate, a seconda delle località della costa orientale della Sicilia, da 6 a 12 mt di altezza. Il fenomeno provocò molte vittime fra i sopravvissuti che si erano ammassati sulla riva del mare alla ricerca di un'ingannevole protezione. Improvvisamente le acque si ritirarono e dopo pochi minuti almeno tre grandi ondate aggiunsero altra distruzione e morte. Onde gigantesche raggiunsero il litorale spazzando e schiantando quanto esistente. Nel suo ritirarsi la marea risucchiò barche, cadaveri e feriti. Molte persone, uscite incolumi da crolli e incendi, affogarono trascinate al largo. Alcune navi alla fonda furono danneggiate, altre riuscirono a mantenere gli ormeggi entrando in collisione l'una con l'altra (…) La furia delle onde spazzò via le case situate nelle vicinanze della spiaggia anche in altre zone (…) Messina, che all'epoca contava circa 140.000 abitanti, ne perse circa 80.000 e Reggio Calabria registrò circa 15.000 morti su una popolazione di 45.000 abitanti (…) Altissimo fu il numero dei feriti e catastrofici furono i danni materiali. Le scosse di assestamento si ripeterono con frequenza nelle giornate successive e fin quasi alla fine del mese di marzo 1909.” (da https://it.wikipedia.org).


Le Terziarie partirono da Genova dopo che la stampa ebbe diffuso le prime notizie del disastro. Purtroppo non è stata conservata che una piccola traccia di documentazione archivistica a testimonianza dell’opera di soccorso prestato dalle Nostre. Come per altre circostanze, pur meno gravi ed eclatanti, le Terziarie non hanno sentito il bisogno di ‘raccontarsi’ o di lasciare traccia del loro operato, unicamente intente ed immerse nella carità a cui la storia le chiamava. Tuttavia nell'ASCG si conservano alcuni documenti che ne costituiscono una testimonianza.
La prima è tratta dal volume “Prospetto cronologico di tutte le Fondazioni d'Italia, d'America e di Africa O.I.”, appartenente alla serie Case Istituto, che qui rendiamo in trascrizione.

«Per volontà espressa da S. Ecc. Rev.ma Mons. Edoardo Pulciano, arcivescovo di Genova, le Suore partirono in n. di 4 alla volta di Messina per prestare opera di soccorso ai colpiti dal terremoto sulle navi-ospedale nella rada di Messina.
Stettero colà un mese soccorrendo quei miseri; poi, essendo venuti a Genova migliaia di questi profughi, le Suore tornarono, continuando, esse ed altre, ancora a prodigare la loro assistenza in Genova, non più sulle navi, ma nella Casa “Gente di mare”.
Non poco fu il bene che le Suore fecero a questi profughi, sia materiale che spirituale. Si adoperarono in modo particolare per far ritornare a Dio tanti di questi poveretti che, lontani da ogni pratica religiosa da molti anni, trovarono nell’assistenza amorevole delle Suore, la via per tornare al Signore.
(…) In particolare si presero cura di tanti piccoli bambini d’ambo i sessi, adoperandosi d’istruirli nella religione; insegnando il catechismo ne prepararono un buon numero alla 1a Comunione. Le Suore seguirono in quest’opera pietosa di soccorso e di carità sino al marzo del 1909 (…)»1.


1 ASCG, serie Case Istituto, sottoserie Miscellanea: Prospetto cronologico di tutte le Fondazioni d'Italia, d'America e di Africa O.I.

La seconda testimonianza è una lettera di p. Giuseppe da Genova ofmcap, Ministro provinciale e Direttore dell’Istituto, risalente al 6 gennaio 1909, conservata nella serie Corrispondenza, di cui trascriviamo alcuni stralci: «Rev.e Suore Laura, Giorgina, Filippa, Alfonsina, Agnese Terz. Cappuccine. Lessi nel “Cittadino” di Domenica 3 Gennaio 1909, i vostri nomi ed appresi che, con ammirabile slancio di carità, vi eravate arruolate alla schiera di quelle anime generose che si erano votate al soccorso dei loro fratelli colpiti dall’immane disastro di Messina! Esultai nel mio cuore e sentii invidia di voi! Io vi saluto pieno di riverenza pel vostro sacrifizio e nel tempo stesso vi esorto ad affrontare ogni disagio per amor di Gesù. Ricordatevi che siete figlie di S. Francesco che fu “tutto Serafico in ardore” e compite la vostra missione eminentemente cristiana e civile, animate da un unico pensiero: la gloria di Dio e la salvezza delle anime (…)»2.

Ricordiamo di seguito alcuni dati personali delle Suore alle quali si riferisce la suddetta lettera:

Sr. M. Laura di S. Luigi (al secolo Francesca Scorza), nata ad Arenzano (Ge) il 27 gennaio 1874, aveva vestito l’abito religioso a Genova il 18 settembre 1898, professato i Voti temporanei il 17 settembre 1900 e quelli perpetui il 10 ottobre 1907. È morta a Loano il 3 settembre 1954.
Sr. M. Giorgina di S. Luca (al secolo Anna Mondino), nata a Beinette (Cn) il 2 aprile 1872, aveva vestito l’abito religioso a Genova il 3 ottobre 1888 e professato i Voti temporanei il 24 aprile 1891. Partita come missionaria in America il 4 aprile 1893, era tornata il 22 ottobre 1896 ed emesso i Voti perpetui a Genova il 18 novembre 1899. È morta a Loano il 25 aprile 1944.
Sr. M. Filippa di S. Giacomo (al secolo M. Emilia Remondi), nata a Desenzano (Bg) il 6 gennaio 1884, aveva vestito l’abito religioso a Genova il 10 ottobre 1907. Muore novizia a Prà il 2 settembre 1909 perché «Stante l'improvviso malore non vi fu tempo per fare la Santa Professione».
Sr. M. Alfonsina di S. Giuseppe (al secolo Maddalena Rizzi), nata a Pieve Delmonte (Cr) il 10 dicembre 1873, aveva vestito l’abito religioso a Genova il 26 luglio 1896, professato i Voti temporanei il 18 settembre 1898 e quelli perpetui il 10 ottobre 1907. È morta a Genova il 9 maggio 1954.
Sr. M. Agnese di S. Carlo (al secolo Armida Fiorini), nata a Sarteano (Si) l’11 dicembre 1874, aveva vestito l’abito religioso a Genova il 14 settembre 1901, professato i Voti temporanei l’8 novembre 1903 e quelli perpetui il 12 ottobre 1909. Muore a Montevideo il 4 ottobre 1936.

2 ASCG, serie Corrispondenza, III.3, 1909.


L’ultimo documento, conservato nell’ASCG, è un biglietto autografo di Mons. Filippo Allegro, vescovo di Albenga3.

3 ASCG, serie Corrispondenza, II.11.1, 1909.


Grazie al meticoloso e paziente lavoro di ricerca del CSMR sono stati rintracciati in originale, presso l’Archivio storico della Curia provinciale dei Cappuccini di Genova, alcune brevi relazioni delle Suore che avevano operato a Messina, redatte l’indomani della tragedia, delle quali possiamo pubblicare solo la trascrizione. Il 18 marzo 1976 le studiose del CSMR hanno avuto in visione, e riprodotto in copia fotostatica, una lettera di sr. M. Angelica Pisano, Madre generale, indirizzata a p. Stanislao da Genova ofmcap, e risalente all’immediato rientro da Messina delle Suore4.

«Genova, 9 febbraio 1909

Rev.do Padre,
ho fatto raccogliere dalle suore ritornate da Messina, quanto han saputo sulla loro permanenza in quei luoghi. Appena arrivate han dovuto subito dedicarsi agli infermi e quindi scarsissime di tempo per preparare un lavorino. Tutto quanto mi hanno scritto alla bella meglio glielo mando, notando che Vostra Paternità se crede bene darne qualche notizia su qualche bollettino, prenderà, dirò così, il sugo di questi succinti che le invio, con tutta la quantità di errori [de]i quali saremo compatiti, non avendo tutto il tempo per correggerli.
Qui in Genova abbiamo pure cinque suore dedicate pei profughi, alloggiati nella “Casa della gente di mare” offerta dal Sindacato marittimo al Comitato.
In questa casa le Suore son dedicate al dispensario della roba che offre la cittadinanza e alla sorveglianza dell’ordine. Fanno il catechismo ai fanciulli, che sono totalmente ignoranti nei primi elementi della religione, a confortare e consolare tante povere donne. Dobbiamo dire che questi profughi ci vogliono bene alle Suore. Oggi in quella casa un profugo farà un discorso. Dopo aver fatto il giro della città tutti in massa per ringraziare il Sindaco, disse alle Suore che anche loro saranno nominate perchè vide quanto caritatevolmente si son prestate per loro.
Le ripeto, R. Padre, non guardi ai scarabocchi di questi scritti. D’un momento che non si può far di meglio perché non si ha tempo.
Con ossequio.
Umil.ma in S. Francesco
Suor M. Angelica
».


Le seguenti lettere sono trascrizioni dei manoscritti originali dati in visione da P. Cassiano ofmcap a Madre Romana Villa il 1° novembre 1976 e conservate nell’Archivio storico della Curia provinciale dei Cappuccini di Genova. Purtroppo non è possibile identificare le scriventi perché gli originali sono privi di firma.

«Principio.
Mi sembra un sogno il ricordo del giorno due Gennaio dell’anno 1909. Che pensiero triste e nello stesso tempo d’allegria porta ai nostri cuori. Quel momento in cui la voce della nostra Rev.ma Madre Generale nel più placido sonno risonò al nostro orecchio, dicendoci: “Figlie carissime, ricevetti ordine da Sua Eccellenza Rev.ma di [far] partire per Messina subito cinque Suore. Chi si sente faccia presto, v’è solo un’ora di tempo. Dio, [che è] tanto buono, v’aiuterà ed io vi benedico”. Fummo pronte all’Obbedienza e liete di recarsi colà a prestare l’opera nostra a tanti nostri confratelli sventurati. Partimmo dal Porto di Genova alle ore cinque P. col Vapore ‘Regina d’Italia’.
Arrivammo a Messina il giorno quattro di mattina, e lì, sullo stesso vapore ci fermammo. Il primo quadro che si presentò ai nostri occhi fu la grandiosa Città di Messina ridotta uno scoglio. Lascio pensare il cordoglio del nostro cuore a tale spettacolo. Accompagnate dal Rev.do Padre missionario scendemmo a terra. Ci recammo dall’Arcivescovo, il quale lo trovammo in uno stato compassionevole, ma [fu] molto gentile. Ci disse parole d’incoraggiamento e di conforto.
Si diede un giro per la disastrosa Città. Chi può descrivere ciocchè vedemmo? Che terrore! Non più una casa, né una chiesa, conforto dei fedeli: ma tutto è distrutto. Sopra le macerie non vi [è] altra cosa che militari che stanno scavando, altri carichi con barelle strasportando
(sic!) feriti e cadaveri. Tutti camminano con disinfettanti per la puzza che dalle macerie esce per i cadaveri che lì vi sono. Li vedemmo scavare in tanti pezzi. Tutti i giorni se ne trovano dei vivi, però sembrano scheletri. Uno visse quattordici giorni mangiando sapone. Un altro, padre di famiglia, 16 giorni cibandosi d’alcuni fichi, lui e una bambina. Altri tre vissero con alcune cipolle. Una famiglia salvata per un cane, il quale uscì di sotto le macerie da un buco; i [suoi] loro padroni, dopo tante fatiche, svestiti, gli andarono appresso e si salvarono. Partimmo pure con due Rev.di Padri Cappuccini i quali da otto giorni si affaticavano per ritrovare otto loro confratelli periti, ma dopo tanto lavoro ne trovarono uno, s’aperse la terra e sprofondarono.
Altro bello spettacolo lo vedemmo in porto. Vicino al nostro vapore ve n’era uno che conteneva duecento profughi. Chi può decifrare la sventura di questi poveri disgraziati? Chi perdette tutta la famiglia e chi di loro fu salvo per miracolo. Tutti unanime chiedono roba per vestirsi e pane per non morire dalla fame. Chi era tre giorni che non mangiava, chi quattro: pare cosa impossibile, eppure è [così]. Il Signor Comandante, mosso a compassione, gli fece dare pane per diverse volte.
Fra pochi giorni il vapore si riempì[rà] di profughi, un numero di 180, fra i quali v’erano feriti e (…).
Prestammo l’opera nostra di giorno e vegliando alla notte. Due Suore si recavano di giorno al vapore ‘Savoia’ a curare i feriti: là fecero vera missione, essendoci un numero di 150 feriti. Il poco tempo che c’avanzava s’impiegava nel cucito: si faceva veste per piccoli e per grandi. Si andò pure al campo coi militari: là v’era di tutte [le] malattie; si stava sotto la tenda all’acqua, al vento…vita di sacrificio sì, ma di soddisfazione di poter sollevar quei poveri infermi. Ci fu pure una consolazione ai nostri poveri cuori [per] le confessioni che si fecero fare. Chi era con 50, chi 65 anni che non approfittavano della medesima.
Sì, la vigna era propizia per farsi del bene, e la buona volontà non mancava a nessuna. Si vorrebbe tutto a puntino descrivere ciò che si vide, casi proprio dolorosi. Quella tetra Città, senza nessuno chiaro che la illumini che una semplice torcia del militare e straggianti (sic!) incendi che d’ogni parte vi sono.
[Il] maremoto, incontro del nostro vapore, tra una cosa e l’altra sembrava proprio un finimondo. “Oh, Dio, abbi pietà di noi! E se vuoi che siamo vittime per la salute di questo popolo, siamo pronte!”. Questa era la nostra preghiera: d’offrirsi ogni momento a Gesù. Mai s’allontanerà dai nostri occhi quel doloroso quadro [di] marito e moglie che appena spuntarono coi loro capi, da sotto le macerie, abbracciati insieme, e [dall’]odore già fetenti.
Del piccolo bambino d’un solo giorno, bersaglio in bocca d’un gatto: povera creatura innocente. Sia pur corta o lunga la nostra vita, come a Dio piacerà, una cosa sì dolorosa, come vedemmo, non sarà possibile rivederla.
Si terminò la nostra missione e si pensò di ripartirsene per la nostra Genova colla benedizione dell’Arcivescovo di Messina, e pregandoci a ringraziare l’Arcivescovo di Genova e la nostra Madre.
Applaudite da tutti gl’impiegati del Vapore, ripartimmo per Genova con 180 militari, i quali furono rispettosissimi, esaltando l’opera nostra e la Chiesa, [quali] soldati della Chiesa. Quei sacerdoti vestiti con semplice sottana di donna, altre religiose coperte con un cappotto da militare…e si partì sprovviste di roba e la poca si diede a due povere orfane che ci affidarono
».

«Il giorno due di Gennaio 1909, per ragioni di nostra vocazione, partivamo da Genova col Piroscafo ‘Regina d’Italia’, confortate della benedizione della nostra cara Rev.da Madre Generale e dei nostri superiori, i quali avevano inteso dall’Arcivescovo che avrebbe avuto piacere ci recassimo in soccorso dei poveri messinesi che due giorni prima, cioè a 28 Dicembre, alle 5 e mezza [del] mattino si scatenò un terribile terremoto che sprofondò tutta la Città.
Cosa straziante! Così raccontarono: un rumore spaventoso si sentiva sotto terra, un caos di nebbia soffocante, l’aria tetra, non si vedeva più il cielo, grida, urla commoventi dei poveri disgraziati rimasti sotto le macerie. Sembrava il giorno dell’universale giudizio.
Giunti al porto di Messina, al mattino, il giorno 4, al vedere quel disastro siamo rimasti senza poter proferire parola, colle lagrime agli occhi. Vedemmo alcune chiatte piene di Messinesi rimasti salvi per miracolo. Stavano colle braccia aperte gridando: “Pane, pane!”. Poverini, facevano pietà! Parevano gente disperata.
Contemplavano quel monte di macerie in cui giacevano i loro cari parenti. Per le strade non si vedeva altro che barelle con morti e feriti; vicino alle macerie si sentivano lamenti pronunciare: ”Gesù, Maria, aiuto!”. Ogni giorno tiravano fuori persone vive che sembravano scheletri. Una donna si sentiva parlare chiaro, diceva: “Mi chiamo Catterina Schiaffino che domanda aiuto, per amor di Dio”. I militari fecero penetrare un tubo di gomma per darci da bere. Essa beveva, si sentiva parlare, ma non si poteva trovare. Finalmente, dopo 25 giorni, la ritrovarono ancora viva ma, appena scoperta all’aria, morì. Aveva 43 anni. Una famiglia, parenti dell’Arcivescovo di Messina, [che] era in numero di nove persone, sono rimasti sotto una trave. Gridavano giorno e notte aiuto, ma nessuno li sentiva. Quando hanno veduto il caso disperato, si davano l’addio uno con l’altro: otto sono rimasti sotto le macerie morti, uno solo si salvò per miracolo. Due sposi vissero 26 giorni nutrendosi con un pezzo di sapone. Dio sa in che condizioni si trovavano. Un povero vecchio era sepolto nelle macerie, avendo fuori solo una gamba incancrenita.
Nell’impossibilità di poterlo estrarre un soldato gli domandò se, per levarsi da[l] patire, voleva che gli togliesse la vita, ma il povero vecchio disse che no: “Datemi da mangiare, piuttosto”. Gli fu calato un ristoro, ma prima di notte cessò di vivere.
Di questi fatti ce ne sono a centinaia, non basterebbe un libro per descrivere ciò che si vedeva ogni giorno.
Noi eravamo sul Piroscafo ‘Regina d’Italia’; c’era[no] circa 2000 persone, tra sani e feriti. Si passava il giorno e la notte vicino al capezzale dei poveri infelici; quando avevamo un po’ di tempo si spendeva a cucire le vesti per coprire quei poveri infelici. Siamo state anche chiamate sul Piroscafo ‘Savoia’: innumerevoli erano i poveri feriti ed anche là prestammo le nostre modeste azioni, confortando e consolando, come più potevamo, quegli infelici. Fummo assai bene accolte e ben viste da tutti, anche dalle persone di comando assai rispettate.
I terremoti si facevano sentire sovente anche a bordo: ne risentimmo i tristi effetti mentre una volta andavamo a pericolo di perdere la vita, tanto che il Piroscafo sbalzò e si abbassò sotto le onde, per effetto di un piccolo maremoto.
Facemmo visita all’Arcivescovo: quando ci ha vedute rimase commosso e disse: “Vi ringrazio di cuore di essere venute a soccorrere questi poveri sventurati. Dio vi benedica”. Contente della benedizione di quell’illustre Prelato, ritornammo a bordo a continuare la nostra missione.
Siamo nel cuore della notte vicino ai poveri sofferenti, contemplando la triste Città: non più chiari per le spaziose strade, ma tenebre e profondo silenzio. Si vede uscire dalle macerie fiamme di fuoco spaventose, un fetore cadaverico, un rumore sotterraneo, scosse di terremoto [che] sembra la fine del mondo.
In mezzo a tanto pericolo avevamo offerto la nostra vita a Dio, contente di essere martiri del dovere. Ma felicemente abbiamo terminato la nostra missione e, grazie a Dio, ora torneremo alla nostra cara Comunità, benedette dall’Arcivescovo di Messina il quale, nel partire, ci disse di ringraziare tanto l’Arcivescovo di Genova a nome suo e i nostri Superiori
».

«V.G.M.
Messina, 8 gennaio 1909
Rev.ma Madre,
Le scriviamo due righe in fretta e con sonno. Speriamo, nostra buona Madre, che avrà ricevute le nostre lettere e cartolina, dove le dicevamo qualche cosa sulle grandi disgrazie che successero, che ogni giorno succedono.
Abbiamo tutti i giorni scosse di terremoto assai forte. I cadaveri non terminano mai, come pure i feriti. Tutti i giorni incontrano qualcuno ancora vivo, ma sono puri scheletri e tanti, appena vedono il (chiaro) e sentono l’aria muoiono.
Ci sarebbero tanti fatti da raccontarci, ma speriamo, se Dio ci darà grazia, di ritornare e [di] raccontarceli di presenza. Le diciamo solo che a noi ci sembra di essere alla fine del mondo. Siamo sempre ferme in porto fin tanto che il Vapore non sia completo non si parte, e quando si partirà si andrà ad Augusta e là non si sa quanto si fermerà. Il Vapore nostro lo destinarono per migranti, però ci sono assai feriti e malattie infettive.
Noi passiamo sempre la notte e siamo persino stanche. Però siamo contente di fare il sacrificio che, L’assicuriamo, cara Madre, è assai penoso. Vi sono tanti altri vapori che raccolgono solo feriti al mattino, appena giorno. Si vede in giro i medesimi cadaveri appesi alle funi, preparati per gettarli in mare.
Vi sono tantissimi militari, ma tutti lavorano in silenzio e sulla sera pare che siamo in un tetro cimitero. Tra gli incendi che non si spengono, le barelle dei cadaveri e dei feriti, le scosse di terremoto, tra tutto sembriamo alla fine del mondo.
[Tra] tutte le povere persone che vengono al Vapore a chi manca[no] le scarpe, chi è solo coperto con una semplice e lacera veste data in limosina. Noi Suore non abbiamo roba e la poca che si aveva s’è dovuta dare a due bambine che rimasero senza nessuno. Il S[ignor] Comandante ce le consegnò a noi in stato compassionevole. Cosicchè, nostra cara Madre, è il momento di provare gli effetti della povertà.
La preghiamo di raccomandarci tanto alle preghiere di tutte le Suore.
Riceva i nostri affettuosi saluti, tanti saluti alla R. Vicaria e tutte le Suore.
Ci benedica, mentre ci segniamo per sue

Aff.me figlie
».

Madre Angelica Pisano nelle “Memorie principali dell’Istituto”5 ricorda l’ospitalità generosa dei genovesi a favore dei terremotati lì temporaneamente trasferiti per scampare alla miseria e ai focolari di epidemie che stavano propagandosi all’indomani della catastrofe.

«(…) ricordo imperituro resterà ai posteri la generosità dei Genovesi nell’infausta circostanza del terremoto avvenuto in Sicilia-Calabria ai 28 Dicembre del 1908. In questo doloroso avvenimento le nostre Suore Cappuccine, spinte dalla carità, furono sul luogo del disastro, prestando per alcuni giorni la loro opera di aiuto e conforto a quegli sventurati. Più tardi, al 5 Gennaio, migliaia di profughi venivano accolti negli stabilimenti aperti ad asilo dalla città di Genova. 600, fra uomini e donne e fanciulli, vennero ricoverati nel grandioso stabilimento ‘Casa gente di mare’, in allora recentemente costrutto. E qui che le Suore T.rie Cappuccine, chiamate alla direzione ed al buon ordine di quella povera gente oppressa dal dolore e dalla miseria, spiegarono il loro materno zelo da meritarsi le celesti benedizioni, ed i più sentiti encomi da cattolici e liberali.
Fra queste nostre Consorelle, angeli di cristiana carità, merita particolare elogio la buona Suor Francesca Martini che, presasi particolare interesse dei poveri piccini, s’adoprò nell’istruirli nella religione, e durò in quell’asilo di dolore confortando e beneficando tutti fino alla chiusura dell’opera caritativa in sul fine di Marzo
(…)».

4 ASCG serie Missioni, sottoserie Messina: Corrispondenza.
5 ASCG serie Cronaca: 10.